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Insegnamento di una Sagra

È una sera calda d'estate, è tempo di vacanza per chi ancora può permetterselo.

Un gruppo di case di sasso in Valmalenco si chiama Vetto. È una struttura nata nel tempo passato per servire la terra, chi l'ha costruita non fa più parte dei vivi, il loro ricordo è presente nelle pietre divenute muri con l'opera attenta di chi sapeva creare architettura.

Il tre di agosto questo insieme di volumi un tempo abitati si è risvegliato dal sonno: è tornato a vivere qualche ora per raccontare la modernità possibile. Le auto sono state bandite per meglio interpretare il moderno del tempo che non le conosceva e che sarà il moderno futuro; un servizio navetta interpreta il logico del servizio pubblico.

Una vecchia casa porta un grande cartello: si vendono appartamenti. È una presenza stonata che qualifica il tempo che stiamo vivendo, che qualifica senza ombra di dubbio la gestione insensata del territorio voluta da chi ancora non ha capito che l' “appartarsi” nega all'uomo, animale sociale per eccellenza, il piacere di stare nel mondo. In una serie di botteghe effimere si vende quello non prodotto dal luogo ma dalla finzione.
Si vende la tristezza di chi ha dimenticato che l'economia è “estetica della vita” è sostanza della civiltà.
Vere botteghe per vendere il “vero” del territorio sono lo scopo di un piano di governo del territorio.

Cammino su viottoli rappezzati da calcestruzzo, parte ricoperti da “autobloccanti” e parte in terra sconnessa: percorsi un tempo tutti lastricati con pietre a coltello oggi raccontano il sistema di vita fatto di separazione. Vetto era opera d'arte al servizio dell'uomo, struttura complessa legata al suo intorno con muri posti a seguire l'anatomia del terreno, opera d'arte che sapeva ascoltare il canto del torrente di acqua pulita che scorre vicino fra sassi decorati da rossi licheni, torrente con rive non massacrate da muri di calcestruzzo mal fatti messi lì per far credere che la democrazia è al servizio dell'incolumità della gente.

Sono luoghi che ho conosciuto quando esistevano uomini che sapevano abitare lo spazio in cui erano nati, uomini che sentivano la necessità della bellezza e la sapevano creare per istinto, la modernità del possedere ha loro negato di continuare a creare arricchendo l'istinto con la conoscenza che il loro agire era poesia applicata al territorio.

La politica (in malafede) ha confuso la modernità con l'avere necessario per rappresentarsi, le nuove costruzioni sono caricature della bellezza, l'urbanistica dell'intera valle non si sa bene che scopo si sia prefissata e cosa oggi si prefigge: la volgarità che sta alla base della progettazione insensata ancora non serve ad illustrare l'errore di negare alla bellezza il compito di essere economia.

La sagra del tre di agosto mi ha fatto intuire la possibilità di riscattare anni di pazzia collettiva: la partecipazione della gente è stata totale così come totale lo è stata nella rappresentazione della nascita del Cristo nel presepio vivente di Natale.
A questa gente andrebbe spiegata la loro appartenenza al futuro, andrebbe valorizzata la loro capacità di divenire un tutt'uno nel creare quella modernità che nega all'avere gestito dal falso il diritto di stare nel mondo.
Non è opera facile ma penso sia necessario rendere consapevoli “questi attori” che la loro rappresentazione è recitazione preziosa nel teatro del mondo, recita preziosa in grado di mettere alla berlina la farsa di questo moderno.

   
Le foto appese ai muri portano a valutare la necessità di vedere il territorio come continuità, continuità anche di intenti.  Mantenere intatta la ricchezza del paesaggio da sentire come base del turismo fatto da visitatori è compito di chi abita un territorio.

Seduto con mia moglie sulla panchina nella piazzetta mangiamo frittelle alla menta: la montagna sa ancora accomunare chi da troppo tempo ha scelto di vivere da separato, una signora mi dice che nel condominio di Milano lei non conosce nemmeno chi sta nell'appartamento accanto, mi confessa che qui lei sente di essere viva.

A chi progetta piani di governo del territorio sarebbe utile un incontro con la signora che sta seduta sulla mia stessa panchina, ascoltare con attenzione come si vive in città  dovrebbe servire per negare al nostro spazio la medesima sorte.

Una amministrazione comunale dovrebbe mettere al bando il vocabolo appartamento, dovrebbe spiegare ai progettisti al servizio dell'ignoranza dei palazzinari che progettare significa andare al di là del presente, credere che la modernità sia appannaggio della città è stato l'errore base di tutta la politica del dopoguerra, essere consapevoli che la modernità futura sta nella riscoperta del positivo del passato presente nei luoghi della dimenticanza dovrebbe divenire lo scopo di una sagra moderna.

Forse è tempo di capire che città, paesi e campagna sono unità e non separazione, gli architetti lo hanno da tempo dimenticato.
Giuseppe Galimberti Arcitetto

Data 30/07/2014 Categoria Varie
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